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La storia in dettaglio

La nascita della nuova parrocchia urbana di S. Giuseppe sposo della B. V. Maria non è stata senza travaglio. È stata preceduta da oltre un anno di «battaglie» cartacee e telefoniche tra la Curia arcivescovile di Bologna e la Provincia bolognese dei Cappuccini. La prima premeva perché i frati, come già avevano fatto in altre città, accettassero che la loro chiesa divenisse parrocchia, la seconda invece opponeva forti resistenze, perché giudicava l’impegno parrocchiale non confacente alla propria tradizione apostolica e alle esigenze della formazione dei giovani studenti di teologia, che nel convento di Bologna avevano la loro sede. La vicenda si è protratta a lungo e ha conosciuto momenti di notevole «contrasto», fino a coinvolgere anche il Papa, Pio XII.

Una decisione travagliata

Il Ministro provinciale di allora tentò ogni via pur di scongiurare il «pericolo» di trovarsi una parrocchia in convento. In una lettera ad un confratello «altolocato» così commenta la ventilata ipotesi dell’erezione di una parrocchia presso il santuario di S. Giuseppe: «Non Le nascondo che ci troveremmo veramente male se si dovesse accettare la Parrocchia qui nella nostra chiesa». E così conclude: «S’Ella potesse fare qualcosa per impedire ciò, farebbe un’opera altamente meritevole».

Il card. Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, dietro suggerimento del Papa medesimo, aveva scritto una lettera al Sostituto della Segreteria di Stato di Sua Santità, nella quale esponeva le ragione della sua richiesta di poter erigere una parrocchia presso il Santuario di S. Giuseppe in Bologna. Ecco una stralcio della sua lettera: «I Frati Minori Cappuccini hanno un’importante Comunità religiosa in questa mia città con annesso studio teologico. Hanno anche e officiano una bella Chiesa, che, ubicata in un quartiere un tempo periferico e oggi molto popolato, assolve pienamente alle esigenze religiose della zona. Anzi, come è ben comprensibile, questa Chiesa è divenuta un punto di richiamo anche per i fedeli che risiedono fuori del territorio di naturale sua influenza; l’abbondanza di sacerdoti religiosi sempre a disposizione per l’amministrazione dei Sacramenti, l’ufficiatura abbondante e le Sacre Funzioni frequenti ed eseguite con molta dignità e solennità, la facilità di ottenere l’applicazione delle SS. Messe, le iniziative, opere, pie unioni e il terzo ordine che fioriscono e prosperano accanto alla Comunità religiosa, le devozioni del popolo a S. Francesco, ecc., spiegano abbondantemente le preferenze di molti fedeli, anche di zone lontane, per la Chiesa di S. Giuseppe, dove si celebrano matrimoni, si fanno funerali, si ammettono bimbi alla prima Comunione, esistono organizzazioni di Gioventù maschile e femminile, di Uomini e di Donne, si gestisce il Cinema parrocchiale e si appronta una biblioteca circolante, ecc. Tutto questo non dà ombra ai Parroci di questa Città, se si fa eccezione per le funzioni più propriamente parrocchiale, quali i matrimoni e le prime Comunioni, che creano disappunto e disagio a molti Parroci: disagio che verrebbe completamente eliminato con la erezione della Chiesa di S. Giuseppe in Chiesa parrocchiale. Questo è un problema di tanti e tanti anni; ma i Religiosi hanno sempre opposto difficoltà e non hanno mai aderito». E così concludeva: «Sono certo che l’intervento autorevole di codesta Segreteria di Stato in favore di questi miei gravi problemi pastorali che mi stanno sommamente a cuore, potrebbe ottenermi la soluzione che io da tempo sospiro invano a favore di tante anime».

Il confratello altolocato a cui era ricorso il Ministro provinciale per avere un appoggio nello scongiurare l’ipotesi dell’erezione di una parrocchia presso il convento di S. Giuseppe, non era altro che il Procuratore generale dell’Ordine, cioè colui che teneva i rapporti tra la S. Sede e l’Ordine Cappuccino. Questi, già al corrente della richiesta del Card. Lercaro al Santo Padre, nella sua risposta non illuse il Ministro provinciale con superflue promesse. Anzi gli preannunciò l’arrivo di una lettera dalla Segreteria di Stato con l’invito per i Superiori «a trattare con l’Arcivescovo di Bologna la erezione della Chiesa di S. Giuseppe in Parrocchia».

E infatti, a distanza di pochi giorni, il 9 agosto 1958, pervenne al Ministro provinciale una missiva del Ministro Generale che, nel trasmettergli copia della lettera della Segreteria di Stato, non gli lasciava più alcuna «speranza»: «Stimando che al desiderio della Segreteria di Stato di accogliere l’invito dell’Em.mo Cardinale Lercaro non sia più conveniente insistere sulla negativa, La preghiamo di trattare la questione col suo Definitorio e svolgere di conseguenza le necessarie pratiche con Sua Em.za per l’accettazione di detta cura parrocchiale».

Iniziano le trattative

Il Ministro provinciale, come si suol dire, fece buon viso a cattiva sorte, e iniziò con la Curia arcivescovile la pratica per l’erezione della Parrocchia. La trattativa, dopo la «spinta» impressale da Roma, portò in breve tempo i Cappuccini ad accettare l’attività parrocchiale presso la loro chiesa: l’11 settembre 1958 il Ministro provinciale si recò di persona presso Mons. Gilberto Baroni, Vescovo ausiliare e Vicario Generale della diocesi, per comunicargli la decisione. Ma con l’accettazione la questione non poteva considerarsi già conclusa. Perché adesso veniva il «bello»: i dettagli.

E tra i dettagli, uno sopra tutti gli altri: il problema dei confini del territorio della nuova parrocchia. Il problema di per sé era assai semplice, ma a complicarlo contribuirono non poco le resistenze del titolare della confinante parrocchia di S. Caterina, che non accondiscendeva a cedere parte del suo territorio alla nuova parrocchia. In particolare viale Risorgimento, viale Pepoli e i lati di via Audinot e Albergati rivolti verso la sua parrocchia. Quali le motivazioni? «Il Parroco di S. Caterina motivava le sue richieste con il fatto che nel territorio che doveva essere stralciato dalla sua e aggregato alla nuova Parrocchia, abitavano persone che costituivano il suo braccio destro per le attività parrocchiali. I Cappuccini invece controbattevano che i confini naturali della nuova parrocchia non potevano non essere che viale Risorgimento e viale Pepoli. La Curia arcivescovile propose una soluzione di compromesso: quelle vie – Viale Risorgimento, Viale Pepoli e i lati orientali di via Audinot e di via Albergati – sarebbero rimaste temporaneamente sotto la giurisdizione della Parrocchia di S. Caterina, ma, alla prima vacanza del titolare della medesima, sarebbero poi passate alla Parrocchia di S. Giuseppe. La cosa non piacque per nulla ai Cappuccini, che espressero, con una lettera del Ministro provinciale a Mons. Gilberto Baroni, la loro contrarietà a tale soluzione: «Le case che si affacciano su tali via sarebbero quindi escluse, di fatto, per ancora non so quanto tempo (poiché non sappiamo quanti anni di vita il Signore abbia decretato di concedere ancora al Rev.mo Mons. Parroco di S. Caterina – e noi gliene auguriamo sinceramente tanti –), dalla giurisdizione della nuova Parrocchia, case che sono inserite nella sua naturale orbita, ed i cui abituanti, per conseguenza, confluiscono alla medesima». Si arrivò addirittura a suggerire, come ultima alternativa, di ritardare l’erezione della nuova Parrocchia fino alla «prossima vacanza della Parrocchia di S. Caterina».

La ricerca di un compromesso che «consentisse la pace e la tranquillità degli animi» non fu facile. Si registrò persino un intervento diretto del card. Lercaro presso il parroco di S. Caterina, con l’intento di forzare la mano ad ambedue i «contendenti», costringendoli a trovare l’accordo a metà strada. I Cappuccini si rassegnarono – a malincuore – e la «spinosa questione» ebbe finalmente una soluzione: i viali Risorgimento e Pepoli sarebbero stati fin dall’inizio i confini della nuova Parrocchia, ma con la clausola del «nunc pro tunc»: queste due vie, cioè, avrebbero continuato ad essere soggette alla giurisdizione della Parrocchia di S. Caterina, ma solo fino alla prima vacanza della Parrocchia stessa. In tale occasione, senza ulteriori decreti, sarebbero entrate a far parte a pieno diritto del territorio della Parrocchia di S. Giuseppe.

Il decreto di erezione della nuova Parrocchia

E così, non frapponendosi più alcun ostacolo, il card. Giacomo Lercaro, in data 15 agosto 1959, emise il decreto di erezione della nuova Parrocchia di S. Giuseppe sposo della B. V. Maria. Il Decreto così recita:

«Con l’aiuto della Divina Provvidenza, dal Nostro ingresso in questa Archidiocesi Bolognese, abbiamo potuto erigere 14 Nuove Parrocchie Urbane; ed altre Ci proponiamo di erigerne, per favorire quanto più possibile, l’assistenza religiosa delle anime, a Noi affidate.

Questa sollecitudine pastorale fa ora rivolgere la Nostra attenzione alla popolata zona urbana, che si estende dalla Porta Saragozza alla via di Casaglia, nella quale vivono, attualmente, circa 8.000 abitanti, religiosamente appartenenti alle Parrocchie di S. Paolo di Ravone, S. Famiglia al Meloncello, e S. Caterina di via Saragozza, composte la prima di 18.000 anime, la seconda di 10.000 e la terza di 7.000.

Sì rilevante numero di fedeli e la vastità delle singole Parrocchie rende l’opera, pur encomiabile dei Parroci, ormai impari all’assistenza richiesta dal ministero parrocchiale, secondo le necessità dell’apostolato moderno.

Per favorire adeguatamente il bene spirituale dei fedeli di questa zona abbiamo deliberato di erigere una nuova Parrocchia Urbana, con sede nel Santuario di S. Giuseppe, in via Bellinzona, 6.

Questo tempio si presta infatti egregiamente ad essere sede di una nuova famiglia parrocchiale. Centrale e di comodo accesso per tutta la zona, sufficiente per la popolazione, è officiata dalla comunità religiosa dei Frati Minori Cappuccini, i quali con lodevole zelo attendono da tanti anni al sacro ministero.

Esso per vari decenni fu già sede di una Parrocchia suburbana, cessata il 24 settembre 1818, ed ha il privilegio di avere raccolto, fin dal 1566, quel culto a S. Giuseppe, che, primo in tutto l’Occidente, si era sviluppato a Bologna fin dal sec. XII. (…)

Costituiamo ed erigiamo in perpetuo la nuova Parrocchia Urbana di S. Giuseppe Sposo della B. V. M., e la vogliamo eretta canonicamente nel migliore dei modi, retta da un Parroco con tutti i diritti, doveri ed attributi fissati dai Ss. Canoni e dalle norme e consuetudini diocesane per i parroci di questa Nostra Città. Avrà una popolazione ci circa 8.000 anime e sede nel Santuario di S. Giuseppe dei Frati Minori Cappuccini di Bologna, in via Bellinzona, n. 6».

Il decreto così concludeva:

«Il presente Decreto (…) sarà pubblicato inter Missarum solemnia la Domenica 23 Agosto 1959; e andrà in vigore la Domenica successiva 30 Agosto 1959.

Dato in Bologna, alla Nostra Residenza, questo giorno 15 del mese di Agosto dell’anno 1959, solennità dell’Assunzione della B. V. M. al Cielo».

Nel frattempo i Superiori cappuccini presentano al Cardinale Arcivescovo come nuovo parroco, un nome a lui già noto per il suo zelo: il P. Amedeo Zuffa maestro dello Studio teologico.

Domenica 23 agosto, a tutte le SS. Messe, venne letto il decreto ufficiale dell’erezione della nuova parrocchia. E la domenica successiva, 30 agosto, la Parrocchia di S. Giuseppe è canonicamente eretta. Con queste parole il nuovo parroco annota l’avvenimento nel suo «Cronicon»: «Data memoranda: il Santuario di San Giuseppe è divenuto parrocchia. Oggi è il suo primo giorno di vita. Viene distribuito in chiesa un volantino in cui vengono segnalati con precisione i confini della nuova parrocchia».

Il parroco e i cappellani

Intanto il 29 settembre sono nominati i due cappellani: P. Vittore (Angelo) Rinaldi e P. Ottavio Recanati. Finalmente domenica 4 ottobre, festa di S. Francesco e, per la Diocesi, festa di S. Petronio, in tutte le SS. Messe è dato l’annuncio del nome del parroco e della sua imminente investitura.

L’investitura, o conferimento del ministero parrocchiale, avviene sabato 10 ottobre, alle ore 18.45, ad opera del card. Giacomo Lercaro, che, nell’occasione, si complimenta con i Cappuccini per avere accettato che la loro Chiesa-Santuario, così ben arredata e veramente «sponsa monilibus ornata», divenisse parrocchia.

Il parroco, dopo aver espresso il suo ringraziamento per la fiducia accordatagli dall’Arcivescovo e dai Superiori, e nel confidare sull’aiuto dei suoi assistenti, «ai quali chiede slancio nel bene e unità d’azione», espone il principio programmatico della sua azione pastorale: «la volontà non si muove se non conosce il bene», e impegna se stesso i si suoi collaboratori «a far conoscere la dottrina cristiana». E così la nuova Parrocchia, esaurita ormai ogni «formalità», poté iniziare in maniera piena la sua vita e la sua attività pastorale.

La conclusione

Il cronista di oggi potrebbe evangelicamente così riassumere tutta la vicenda: «La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16,21). Un parto difficile e non senza contrasti l’erezione della Parrocchia di San Giuseppe, ma, superati quei momenti, «… vissero tutti felici e contenti».